C’è nel vivente un dipanarsi di fili sottili che disegnano traiettorie esistenziali, percorsi di crescita e individuazione ma anche di involuzione e sofferenza.
Credo che ad apparentare tutto, ci siano arcane leggi di corrispondenza, relazioni sottili e fragili, forti e costituenti, che mescolano linguaggi, vivono di suggestioni, atmosfere quiete, vaghe, imprecisate come certe nebbie leggere che serpeggiano nei pioppeti.
Tutto parla, fa musica, risuona, danza, a patto che lo si ascolti, che si sia capaci di muoversi e com-muoversi col mondo.
Il mito, le fiabe e i geni vegetali sono per me linguaggi fratelli, accomunati dalla loro cifra semplice e popolare. L’uomo ha sempre ricercato senso e scopo, si è sempre interrogato e ha sempre cercato la cura ai suoi mali attraverso la parola, l’immaginazione, l’universo vegetale che lo ha sempre nutrito, vestito e scaldato e protetto come una buona madre fa.
Ma c’è di più perché ancora oggi ci si incanta ascoltando qualcuno che racconta. La parola incantare (dal latino in-cantare, cantare su o a proposito di… al fine di creare) è collegata al canto, che permette di sintonizzarsi su una frequenza diversa, di percepire i messaggi dell’anima, e non più quelli della propria mente offuscata dalla materialità. In verità è impreciso dire di stare ascoltando una fiaba, sarebbe più giusto dire di stare ricordando delle idee innate, presenti in ognuno di noi per istinto.
L’insieme vario e vibrante di questi linguaggi si unisce per me nella mitopoiesi, uno degli alfabeti mindwoodness con cui cerchiamo di riaccendere il cuore e accedere a un livello di guarigione profondo, perché capace di dialogare con i tanti strati del nostro Sé.
Questa dimensione interrelata si esprime anche nella fiaba di Vassilissa la bella che va incontro a baba jaga (la guardiana della soglia, la viaggiatrice tra i mondi) in una notte che rappresenta la notte della sua anima e l’inizio di un viaggio iniziatico. La ragazza si inoltra nel fitto della foresta sostenuta da un potente alleato: la bambolina ricevuta in dono alla morte della madre che rappresenta l’eredità familiare e collettiva, il ricco corredo di esperienze e sapienza che arriva dagli antenati.
Ma non solo, perché Vassilissa è sostenuta da un grande coraggio e una capacità di sperare, caratteristiche che me la fanno imparentare al timo che, come tutte le piante ricche di olii essenziali, veniva considerato dagli antichi una pianta eroica.
Il timo, come testimonia il suo stesso nome che deriva dal greco thumon, imparentato con il soffio vitale thumos, era per gli antichi greci simbolo di vitalità.
Che poi, a ben pensarci, l’imminente arrivo di baba jaga è sempre annunciato proprio da un vento forte che fa tremare le cime degli alberi e le foglie sui rami.
Una volta passata, la strega lascia dietro di sé tempeste che recano morte, malattie e distruzione e con un ramo di betulla d’argento baba jaga cancella i sentieri dei boschi da cui è passata per non lasciare traccia di sé.
Nella mitologia greca il timo nasce dalle lacrime di Arianna, versate per l’abbandono dell’amato Teseo, dimentico dell’aiuto da lei fornitogli per districarsi nel temibile labirinto del Minotauro.
Il timo è dunque il coraggio che supera le delusioni e i tradimenti (lo stesso che sostiene il nostro daimon, più volte mortificato da scelte esistenziali che ci conducono a largo da noi stess* ma che non per questo smette di abitarci nel petto e di scalciare per manifestarsi pienamente).
Il timo sintetizza in sé molte qualità eroiche: corrobora il nostro sistema nervoso ed endocrino (particolarmente sollecitato nei momenti di crisi che attraversiamo durante le fasi di individuazione) e stimola la secrezione di adrenalina (l’ormone marziano dell’eroe e dell’eroina che deve affrontare i pericoli e ha bisogno di un’azione coraggiosa.
Secondo l’antroposofia, il timo vivifica e migliora la percezione e l’organizzazione dell’Io, così importanti per chiunque debba confrontarsi con l’altro da sé per sopravvivere nel mondo.
Il timo favorisce anche un miglior contatto con il mondo (al quale si lavora alacremente in psicoterapia), sia attraverso il sistema respiratorio che purifica e cura, sia agendo nella zona gastro-epatica ossia dove digeriamo e metabolizziamo il mondo e con esso tutte le emozioni indigeste che, se non adeguatamente consapevolizzate e trasformate, rischiano di bloccare i nostri processi evolutivi e di non farci uscire dalla notte buia dell’anima.