“Non perdere la voglia di camminare: io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata… ma stando fermi si arriva sempre più vicini a sentirsi malati… Perciò basta continuare a camminare, e andrà tutto bene.”
Bruce Chatwin
Spesso il viaggio di supporto psicologico è associato a metafore che hanno a che fare con un viaggio (interiore e non), un cammino nei meandri della psiche, per ritrovare un senso di benessere e di appartenenza (non a caso a volte si dice “tornare a casa” per intendere tornare a essere se stessi, alla propria intima natura).
Dunque la cura sottende sempre un’idea di spazio, metaforico ma non per questo meno reale perché in effetti lungo il cammino ci si sposta, si compiono veri e propri capovolgimenti di prospettiva, si impara a vedere dove prima a malapena si riusciva a guardare.
Il viaggio è spesso costellato di insidie, trabocchetti, momenti di impasse o di vero e proprio scoramento che però sarebbe riduttivo annoverare tra le resistenze della persona. Anzi, facciamo che questo termine non lo usiamo proprio e che facciamo piuttosto riferimento a un sano ricorso alle difese personali, alle strategie adattive cioè che nel tempo ci hanno tenuti in vita, preservando quel nucleo centrale che spesso è lo stesso che ricorre al sostegno psicologico.
L’idea a mio avviso è quella di imparare ad accogliere tutte queste manifestazioni di noi stessi, integrandole quanto più possibile in un’idea di vastità interiore.
Sì, perché come ci ricorda Pontalis, psicoanalista francese, “ci vogliono parecchi luoghi dentro sé per avere qualche speranza di essere se stessi”. Dunque ricorre nella cura l’idea di un luogo, di una spazialità emotiva, fisica, psicologica che ha da espandersi e rendersi esplorabile in una estensione via via sempre più grande di quella che potremmo chiamare la nostra mappa interiore.
Lo spostarsi è di per sé segno di vitalità e rinascita, il rimettersi in moto delle funzioni vitali è associato a una ripresa fisiologica del nostro sistema mente corpo che spesso manifesta la sua malattia attraverso l’immobilità, la fissità, la rigidità delle forme di pensiero, delle convinzioni e via dicendo.
Da questo punto di vista si può capire intuitivamente che la cura ecoterapeutica rappresenti un valido supporto nei processi di cura be sviluppo, proprio perché invita ad abitare lo spazio e lo fa in modo creativo e curativo, invitando a parlare la lingua delle analogie e delle similitudini, solcando territori fisici che inevitabilmente parlano con quelli emotivi.
Lo spazio, il muoversi, il “paesaggire” fa del paesaggio un luogo reale in continuità con ul luogo fisico ed è così che il paesaggio esce dalla dimensione panoramica per farsi esperienza incarnata. Il paesaggio non si esaurisce nello sguardo e richiede una espereinza sensoriale, si colora di affetti, memorie, emozioni e diventa parte integrante della nostra identità.
Dunque la cura, in questa accezione è per me anche la medicina dei luoghi, dei loro significati che si rivelano in mappature interiori, segni e geografie che risvegliano memorie e senso di appartenenza a pato che non si perda la voglia di camminare e con lei quella di sognare.