Ultimamente finisco sempre più tardi di lavorare.
Ho la sensazione che le giornate si dilatino a dismisura e finiscano in un bicchier d’acqua (dove regolarmente mi perdo e disperdo pensieri).
Arrivo a sera frastornata: mi sembra di aver fatto molto ma di aver potuto fare altrettanto e ho sempre il fiato corto.
Il primo ciclo dei FravolaLab si è concluso ieri e, confesso, un po’ mi dispiace ma un po’ sono felice perché è come se sentissi il bisogno di rassettare la quantità immane di stimoli e di riflessioni che questo mi ha dato.
In vista dei corsi di Gennaio, che terrò sempre al Libraio, ho capito che cercherò di fondere insieme il corso di Personal Branding con quello di Storytelling, in modo da proporre un Personal StoryBranding, cioè un percorso che, mentre aiuta a trovare le risorse e i punti di forza del proprio brand, insegna anche a raccontarlo debitamente e a condividere il percorso.
Ma non solo.
Sono sempre più pericolosamente attratta dal mondo del mind mapping e da quello della user experience, che intreccia tecnologia e relativa usabilità dei device, con un concetto estremamente sfuggente e soggettivo, che è la praticità, la facilità e la soddisfazione che si provano nell’utilizzare e/o nel fare quella determinata esperienza in una data circostanza.
Oggi ragionavo con una mia alunna a proposito di un probabile restyling del suo sito e ho capito che l’ascolto non è solo quella buona pratica che occorre fare per poter creare un palinsesto di contenuti che sia rilevante per chi ci legge ma è anche un esercizio che è necessario compiere in tutte le fasi di pianificazione della nostra comunicazione.
Troppo spesso veniamo infatti tratti in inganno dal fatto che conosciamo la nostra azienda, la viviamo da anni, ne conosciamo risorse e limiti a mena dito e forse proprio per questo ci manca la capacità di cambiare punto di vista, di guardare da un’altra angolazione la nostra offerta.
Cambiando sguardo non sono solo i limiti e la perfettibilità delle nostre scelte di comunicazione a rendersi evidenti ma anche le risorse che spesso, troppo spesso per la verità, siamo tentati di considerare scontate, secondarie, ovvie.
Più mi addentro nell’affascinante mondo della formazione, più capisco che allenare lo sguardo, mantenerlo fresco e capace di stupore, rifuggire dal caldo tepore dell’abitudine e lanciarsi nei perigliosi flutti del cambiamento, è una pratica che può’ essere salvifica per la nostra azienda. Questo sia per mantenere vivo il principio che ci differenzia da altre realtà, sia per intuire per tempo le istanze di cambiamento che inevitabilmente ci arrivano dai nostri clienti e in generale da un mondo in continua trasformazione.
Per fare questo, per allenarci al movimento e al ricircolo di idee e di punti di vista, occorre dismettere i nostri panni comuni, fare ampio esercizio di empatia, guardare il mondo con occhi diversi, porsi domande continuamente e nel dubbio ripeterle più volte, tentando ogni volta di dare una risposta schietta e immediata.
Occorre anche scrivere copiosamente e abbracciare questa abitudine come un elemento di quotidiano allenamento all’espressione di sé e alla focalizzazione degli obiettivi nonché al miglioramento della nostra capacità di problem solving.
Questo perché scrivere fa chiarezza, distende i pensieri, oggettivizza, distoglie dall’indeterminatezza vaga del pensiero, fissa su carta, storicizza.
Per questo ho pensato ad una evoluzione del Personal StoryBranding attraverso una serie di incontri periodici durante i quali allenare creatività e strategia, in un continuo rimando e dialogo costruttivo tra parte sinistra e destra del nostro cervello, con l’ausilio di mappe mentali ed esercizi di scrittura.
Sto pensando a un vero e proprio viaggio dell’eroe nei meandri delle nostre cattive abitudini, per sfidare false credenze, pigrizia mentale, attitudine al giudizio, paura di abbandonare la confort zone per testare su di sé le buone pratiche che rendono più flessibili e adattabili a un mondo (anche del lavoro) in continua trasformazione.