E il gusto dell’odio si allontana
E la rabbia appena nutrita muore
È il digiuno piuttosto, che la ingrassa.
Emily Dickinson
Depressione, ansia, relazioni difficili, disordini alimentari, rabbia, paura, dipendenza.
Quali che siano i tuoi demoni interiori, più li combatti e più questi si rafforzano. Più cerchi di evitarli o fronteggiarli, più loro cresceranno e con loro la tua frustrazione e il tuo senso di impotenza.
La buona notizia è che c’è una via, la cattiva è che non ce l’hanno mai insegnata, anzi.
La via per sciogliere i nodi di antichi scomodi coinquilini della mente, è quella di riconoscerli, invitarli a entrare anziché far trovare loro la porta sprangata sedersi e offrire loro da mangiare, proprio come si farebbe con un amico a cena.
L’idea nasce dal fatto che ogni emozione, sensazione non debitamente riconosciuta dentro di noi, si crea uno spazio di manovra dentro di noi, dal quale impara a manovrare anche noi, più o meno consapevolmente ( con effetti spesso spiacevoli per il nostro equilibrio).
La prima cosa da fare dunque è riconoscerli, i nostri demoni, aiutandosi con buone domande del tipo:
- Cosa prosciuga la mia energia?
- Cosa mi abbatte?
- Cosa mi divora?
- Quale evento di recente mi ha infastidita?
Può essere una paura, una dipendenza, una persona che vi ossessiona: le nostre relazioni sono spesso i nostri principali inneschi di demoni.
Fidatevi dell’istinto, accogliete il primo “nodo” che salta al pettine, non lasciate che la mente aggiusti o sposti: la prima cosa che è arrivata è senz’altro quella giusta da cui partire.
Un’altra buona indicazione per cercare un demone, è cercare di fare mente locale alle emozioni ricorrenti. Esempio, siete spesso preda di rabbia anche se non vi considerate una persona irosa? Ecco, la rabbia potrebbe essere un buon tema da cui partire.
È arrivato il momento del corpo!
Una volta riconosciuto il demone su cui si desidera lavorare, è importante localizzarlo nel corpo, individuare in quale punto sentiamo tensione, rigidità, accumulo di energia e per farlo consiglio di assumere una posizione comoda, fare qualche respiro e fermarsi a “sentire”.
Questo passaggio non è affatto banale: passiamo così tanto tempo nella mente che fare il passaggio al corpo potrebbe generare confusione, ansia, senso di frustrazione perché “non sentiamo il corpo”.
E’ del tutto naturale: abbiamo un passato da incalliti fruitori della mente, adesso pensare che con un click “saltiamo il fosso”, sarebbe irrealistico.
Come sempre a me affascina il processo più che il risultato in sé. Anche perché anche il risultato, come tutto ciò di cui facciamo esperienza, cambia e a sua volta il processo ci cambia, innesca in noi profonde e durevoli aperture che ne generano sempre di nuove.
I questo senso è utile sviluppare pazienza e riuscire ad accompagnarci nel farne esperienza con dolcezza, affidandoci alla saggezza di un corpo che sa e che pian piano è in grado di recuperare fiducia, comunicando con noi.
Per aiutarsi a sentire il corpo, potrebbe valer la pensa di generare in noi l’emozione su cui vogliamo lavorare, magari ripescando nella mente un episodio specifico che l’ha generata.
L’esperienza va avanti e prosegue visualizzando il nostro demone, incorporandolo, cioè diventando lui o lei, sfamandolo quindi nutrendolo di ciò di cui dice di sentire la mancanza, incontrando l’alleato cioè il potenziale di energia che era rimasto intrappolato sotto la morsa del demone e infine riposando in uno stato di tranquillità, con ascolto aperto.
I 5 stadi di questo affascinante quanto potente esercizio di consapevolezza e autoguarigione, lo trovate nel bellissimo libro, che consiglio, di Lama Tsultrim Allione “Nutri i tuoi demoni“.
A me qui interessa soffermarmi brevemente sull’origine assolutamente individuale e personale delle nostre sofferenze.
Se spesso l’innesco è esterno: un litigio, una controversia, un’emozione negativa che è sorta in relazione a qualcosa o a qualcuno, il prendersene cura e iniziare un viaggio di introspezione accurata, aiuta a comprendere come a muoversi, ad agire e ad interagire siano parti bloccate e trascurate di noi.
La pratica del riconoscere il nostro demone dell’accoglierlo e del diventare lui o lei, è un formidabile esempio di cambio di prospettiva (che potremmo ipoteticamente a fare anche incontrando gli altri) che ci aiuta a integrare e a incorporare a un livello più profondo l’aspetto dell’interdipendenza, di cui oggi giorno si parla spesso.
Essere interdipendenti e intimamente collegati agli altri, significa essere gli altri, compresi i nostri nemici, le nostre paure, le ossessioni che ci vengono a trovare.
Realizzarlo, ci aiuta a nutrire un atteggiamento di accogliente apertura anche verso questi stati mentali che sollevano in noi l’impulso a scappare, a guardare da un’altra parte, a fare “come se”, per assumerci nel profondo la responsabilità di esserci, rendendoci disponibili ad accogliere anche lo “scomodo”, quello che non vorremmo vedere (di noi).
Far pace con questi aspetti che ci abitano, riconoscerli, invitarli a cena, cambiare prospettiva e imparare a capire quali sono i bisogni che li animano, ci aiuta a far luce su parti di noi che conosciamo poco, che abbiamo relegato nello scantinato del nostro vivere e che da lì sotto continuano ad esprimersi in modi spesso a noi sconosciuti, con effetti a volte devastanti.
Quello che sto dicendo è che spesso il dolore che viviamo ci arriva da parti non esplorate, non accolte, non viste e debitamente nutrite di noi e che sciogliere il dolore significa prendersene cura, guardarci, riconoscerci, accoglierci.
Per farlo, spesso occorre che qualcuno, ci veda nella nostra intima bellezza. Ci vuole qualcuno che sappia guardarci con occhi aperti, liberi dal giudizio e dall’auto biasimo che noi abbiamo sempre avuto nei nostri confronti
Io sono convinta che sia l’Amore a permetterci di aprirci alla vita completamente e che questo assuma svariate, infinite forme tutte unite dalla capacità di liberarci dagli spazi angusti in cui noi per primi ci siamo infilati, per farci saggiare l’infinita e vasta spaziosità che possiamo abitare concretamente quando ce ne diamo la possibilità.
Sì, perché noi non abbiamo paura di fallire: abbiamo paura di splendere intimamente, profondamente, oltre misura, per come è nelle nostre possibilità fare.
Quando ci incontriamo nella nostra profonda umanità e specificità smettendo di fare la guerra a noi stessi o meglio a quelle parti bandite e relegate nei sotterranei del nostro vivere, sviluppiamo un autentico e spontaneo senso di amicizia e calore per noi stessi che si irradia naturalmente, raggiunge gli altri, in un continuo rinnovarsi di opportunità di incontro e scambio profondi, sinceri.
Quando iniziamo a conoscerci e ad amarci per quello che siamo, la sorpresa di non conoscerci cade e con lei tanta parte del nostro dolore personale.
A quel punto non abbiamo più scuse: è tempo di splendere!