In certe giornate d’estate la luce è un assedio. La mia è una vecchia casa di campagna, con scure grate di ferro alle finestre non tanto grandi: mi ritrovo a spiare fuori da dietro le spesse mura, sospirando come una prigioniera la libera uscita. Che arriva quando le ombre si allungano. Soltanto allora ardisco spingermi all’aperto: nell’orto che è ancora presto per innaffiare, nel frutteto dove meline verdognole e pelosette promettono un buon raccolto autunnale, nell’oliveto biondo di fieno alto, ceruleo di cicorie. Raggiungo la pergola nuova, ombreggiata da una Clematis armandii… e al riparo delle sue foglie oblunghe e coriacee sprofondo nella sdraio. Lo sguardo riposa sulle colline orientali, sul cielo addolcito dal chiarore che precede il tramonto. Cullata dal ronzio nel silenzio dei campi…mi assopisco.
Pia Pera
Certi post nascono con un magone.
Me lo trascino per giorni e settimane: ogni lettura, ogni scambio sorprendentemente affine e allineato alla mia “visione”, ogni sussulto nella mia “direzione” intuita, me lo rendono ancora più evidente, il magone.
Leggo, prendo appunti (si, ovvio, lo so che ci sono milioni di applicazioni fighissime che fanno tutto loro e mi farebbero risparmiare tempo ma io ho un rapporto fisico con la carta e con la penna e quando leggo, devo o meglio voglio scrivere).
Scrivo di quello che leggo (che spesso è in inglese per cui improvviso una traduzione) ma anche di quello che ciò che leggo muove in me. A volte sono piccole scintille, una vibrazione impercettibile, un colore o un sorriso (anche per questo ho frequentato un corso di facilitazione visuale con Sara Seravalle: così quello che provo è più facilmente traducibile mentre prendo appunti).
Da un po’ di tempo giro attorno alla diatriba tempo libero/lavoro nel tentativo di focalizzare la mia attenzione su un aspetto che sta assumendo un ruolo centrale nelle nostre vite sempre più oppresse da questo dualismo. nella fattispecie ad affascinarmi ancora più è la crescente esigenza di ricostruirsi, di ripartire da sé, di trovare formule innovative, professioni figlie del meticciato dei propri talenti e che siano in grado di rispondere in modo funzionale alle istante del cambiamento e della fluidità dei nostri giorni iperconnessi.
A motivare il mio interesse, il buon vecchio principio di utilità. In pratica sono mesi che mi i interrogo sul tipo di contributo che potrei portare io alla causa “cucirsi addosso una professione che risponda alle istanze di mercato così come a quelle più intime, legate al desiderio di dare qualità alla nostra esistenza”.
Col tempo, riflettendoci un bel po’, ho compreso che avrei potuto proporre esperienze di personal seeding in un contesto di raro fascino: l’Isola d’Elba.
Un modo (anche) per dire: “Io ci sono passata (ma mica è finita eh) e credo di essere facilitata nella comprensione di quelli che potrebbero essere gli ostacoli che incontri nel riorganizzarti l’esistenza a partire da te stesso”. A ciò aggiungo che comunicare con i Social per lavoro è una cosa che faccio da tempo, che mi viene piuttosto spontanea e che per 15 anni ho accolto persone sull’isola, mescolando amore per il territorio al piacere di condividere un tratto di strada insieme.
Insomma, con un po’ di pazienza mi sono cucita addosso il mio abito personalizzato: conoscenza del territorio, confidenza con gli strumenti digitali e un percorso di formazione che mi insegna a valorizzare i talenti altrui, eccomi qua!
Si, lo so, all’inizio andavo dicendo che proponevo personal branding e di fatto nello stimolare le persone a vedersi e a raccontarsi, faccio una serie di operazioni ben descritte nell’omonimo testo dal quale prendo spunto a profusione ma c’è un ma.
Deglutisco, lo so che sto affrontando un tema enorme e che lo spettro di Davide e Golia è alle calcagna ma in realtà qua non si tratta di sfidare una teoria che di per sé approvo e mi convince, quanto di trovare una propria dimensione di utilità e praticità. L’ho sempre fatto in ogni aspetto della mia vita: ho cercato di declinare quanto appreso con i toni della mia sensibilità e della mia necessità.
Ecco, confesso, per me la parola Brand è aggressiva.
Lo so, è vero, finiamo con il vendere in un certo senso noi stessi e i nostri talenti, ragione per cui l’insieme delle pratiche che poniamo in essere fanno sì che noi siamo un Brand a tutti gli effetti, come lo possono essere le destinazioni e i prodotti. Ma una parte di me resta triste quando lo scrive e lo legge.
Credo che sia la stessa parte di me che ancora mi fa inarcare il sopracciglio quando leggo di targeting o di manciate di parole anglofone che troppo spesso sembrano messe a caso, senza una volontà precisa di creare un significato, di costruire qualcosa in buona sostanza ma solo per suscitare sorpresa (o sgomento) nell’interlocutore. Mi alzo, bevo un sorso di tisana, mi sgranchisco le gambe.
Faccio così quando ho un pensiero che mi ingombra dentro, che preme per uscire mentre io gli chiedo di lasciarmi il tempo di afferrarlo e di metabolizzarlo, per poi proporlo, senza fretta. In buona sostanza io credo che il mio malessere risieda nell’incapacità di vedere una persona, la complessità del suo essere, la sua sorprendente combinazione di luci e ombre, di talenti e opportunità, associata a una lattina di Coca Cola o a una macchina, un barattolo di Nutella o ancora a una destinazione turistica.
Certo, certo, mi obietterai che il brand è la relazione emotiva che si instaura con il cliente e sai già che con questo tema hai gioco facile con me, eppure non mi basta. Anche la Coca Cola ha una relazione emotiva con i suoi clienti ma è pur sempre una lattina!!
Lo so, ci hai messo la parola “personal” davanti: ma credi davvero che il mio appetito “personacentrico” sia appagato? Per me tu sei e resti principalmente e prima di tutto una persona piena di potenziali che dormono sotto la coltre delle tue infinite opportunità come fanno i semi in inverno.
Decidere di fare un percorso di crescita e di emancipazione dalle tue paure, scegliere il tuo possibile te ogni giorno, ogni santissimo giorno, è un lavoro complicatissimo e lunghissimo. Richiede amore, consapevolezza, compassione, amorevolezza, conoscenza di sé e del contesto in cui agisci e un impegno che non conosce stagioni. Vederti e conseguentemente sceglierti, fare ogni giorno un piccolo passo coraggioso e consapevole in direzione del tuo potenziale, significa seminare parole, gesti e scelte attraverso un esercizio che richiede allenamento e tenacia e che somiglia in tutto e per tutto a un processo di semina, appunto.
Si, perché come ogni semina che si rispetti, bisogna mettere in conto che non tutto avrà un frutto.
Molti saranno i semi che rimarranno dormienti sottoterra o che verranno mangiati dagli uccellini, altri germoglieranno nel giardino del vicino regalando insperati e imprevisti scorci di bellezza, alcuni cresceranno dove speravi tu ma solo a patto che li annaffi con amore e consapevolezza, con pazienza e conoscenza (perché oltre al terreno influiscono il clima, la stagione, l’esposizione agli agenti atmosferici).
E poi? ci sono i miei preferiti: quelli portati dal “caso” (un uccellino in volo, un’ape impollinatrice, il vento): quelli che non sapevi, che non speravi e che un giorno apri la porta di casa e PUFF, ti trovi una bella piantina dal portamento fiero a sorriderti, senza che abbia a chiederti niente in cambio (e ogni volta lo stupore è nuovo, non ti abitui alla bellezza).
Ti confesso che questo tipo di semina è percentualmente aumentata grazie al Web che facilita connessioni e contatti riunendo persone attorno a un contenuto, a un insieme di valori e di interessi (ma questa è un’altra lunghissima ed emozionante storia di cui non ti parlerò qua ma che coinvolge alcuni dei miei contatti Social che sento incredibilmente e inspiegabilmente affini e che, vivendo su un’isola, non avrei avuto modo di incontrare senza il Web).
Posto quindi che non tutto avrà per forza di cose un frutto, bisogna allenarsi alla generosità, oltre che alla pazienza e alla dedizione e a saper giocare con l’imprevisto, ballandoci in mezzo, senza opporre resistenza.
Una delle prime cose che insegno nei miei corsi è infatti l’attenzione al processo più che alla meta designata. Perché le mete cambiano, si evolvono insieme a noi, subiscono variazioni che sono assolutamente strutturali al percorso ma se acquisiamo consapevolezza del processo, possiamo reinventarci e riproporlo infinite volte, in piena autonomia, personalizzandolo di volta in volta.
Con me fai un percorso che vuole stimolare un processo di crescita e di acquisizione di alcuni strumenti comunicativi che possono aiutarti ad emergere e a intercettare gli interlocutori per i quali potresti essere rilevante (tema centralissimo), ad innescare quindi circoli virtuosi, scambi umanamente arricchenti e professionalmente appetibili in ambiente 2.0.
Non offro risposte (raramente, confesso: anzi più facilmente instillo dubbi) e la mia è una formazione che non si esaurisce in aula ma che prende largo spunto dal luogo in cui vivo e dagli stimoli che ragala (in soldoni, se vieni da me portati gli scarponi, ecco). Insomma, come dire: insieme ci immaginiamo un possibile calendario di semina a partire dai tuoi talenti e intuiamo la validità di alcuni strumenti per procedere alla diffusione del tuo valore ma il grosso del lavoro (e della fatica) inevitabilmente li farai tu.
Se non ti sei scoraggiato leggendomi e anzi hai voglia di vivere l’isola d’Elba a questa frequenza, indubbiamente sei pronto a fare un’esperienza di personal seeding con me (ma se ti sei scoraggiato, ti voglio bene lo stesso!)
Ti aspetto (all’Isola d’Elba)!