Domenica prossima abbiamo un appuntamento a Livorno, per l’Open Day dell’Epoche Institute e il tema è di quelli che ti strizzano la pancia e ti fanno avvertire molti formicolii sparpagliati per il corpo.
La locandina non lascia dubbi e recita secca: “Il benessere è una scelta” punto.
Una giornata dedicata ai temi dello sviluppo personale e dell’indagine di sé anche attraverso tecniche di auto aiuto, per non smettere di imparare e di allargare gli orizzonti, insomma.
Una giornata per incontrare vecchi e nuovi amici, considerato che io all’Epoche Institute ho frequentato un corso di coaching professionale che è durato un anno e che non smette di lavorare dentro di me.
Molte sono state le persone che a vario titolo mi hanno chiesto se valesse la pena partecipare alla giornata che avrà la finalità, tra le altre, di presentare i nuovi corsi di formazione professionale in partenza (ovvero il corso di coaching così come quello di counseling) e a tutti ho mugugnato qualcosa ma qui mi prendo la briga di spiegarti in modo più sistematico cosa ha significato per me frequentare il corso.
Premetto che l’idea di diventare coach mi balenava, senza un apparente senso, da tempo in testa.
Avevo letto articoli, catturato feed back sparsi, adocchiato scuole e percorsi formativi e mi ero fatta l’idea che fosse la cosa giusta per me ma ci voleva il caso, ovvero il fortuito incontro con Raffaella, oggi formatrice dell’Epoche Institute con altre persone, perché tutto si rendesse possibile.
Chi era Raffaella per me prima di diventare la mia formatrice? Era stata una cliente dell’Hotel Cernia, per il quale ho lavorato per diciotto anni prima di intraprendere questa via.
Raffaella era cioè uno dei bei contatti che ho continuato a coltivare nonostante i cambiamenti e lo scorrere del tempo e che a momento debito mi ha teso una mano e mi ha permesso di fare il salto.
C’è in questa singolare casualità una precisa ragion d’essere, o almeno mi piace raccontarmela così.
Spesso quando si vive una fase di totale ristrutturazione di sé dal punto di vista personale e professionale, si attraversano i giorni con la sensazione di camminare con una granata esplosa in mano.
Niente sembra avere più un senso.
Le scelte fatte, le piccole cose messe insieme, i progetti, le scommesse sul futuro: tutto sembra avvolto da un denso fumo nero, un fungo atomico che si è portato via il tuo passato, il tuo presente e pure il tuo senso di futuro.
Di fatto oggi questa professione rappresenta la migliore opportunità potessi chiedere per riappacificarmi con ogni singolo slabbro, tornare a guardare con fiducia il futuro e assumermi la responsabilità del mio presente.
Ma ti dirò di più: non c’è aspetto del mio vissuto che non mi venga incontro durante le sedute di coaching perché, per un caso che forse caso non è, i miei clienti raccontano di vissuti che spesso hanno molti punti in comune con il mio e nei quali riesco a entrare in punta di piedi in forza di tutto ciò che ho attraversato.
E’ un esercizio emozionante e mai uguale.
Ogni storia è un lancio di dadi, ogni vissuto è un insieme vario ed emozionante di opportunità e sconfitte, di ricominciamenti e nuovi sguardi.
Il corso di coaching mi ha restituito principalmente un senso smarrito di responsabilità.
L’assunto di base è che siamo responsabili della nostra felicità così come della nostra infelicità, per cui è del tutto inutile attribuire responsabilità a terzi a riguardo.
E’ inutile farlo ma anche estremamente umano, sappilo, per cui non condannarti quando ti sorprenderai a farlo, piuttosto cerca di capire come iniziare a fare altro.
Anche se deciderai di cambiare significativamente la tua vita, dovrai accettare l’idea che in te convivrà sempre una parte che ti saboterà in tutti i modi e che cercherà di dissuaderti dal farlo.
Vuoi mettere la fatica che dovrai fare ad assumerti ogni giorno la tua buona dose di responsabilità per tutte le cose che secondo te non vanno? Non sarebbe più facile e meno faticoso attribuire a Tizio o a Caio la colpa di tutto questo ginepraio? Certo che lo è ed è il motivo per cui lo facciamo spesso e volentieri.
Il problema è che sono balle.
Al corso di coaching le chiamavamo espressioni di un male che affligge noi tutti: la scusite.
Si tratta di una subdola infiammazione che affligge la nostra capacità di scelta: in men che non si dica non siamo in grado di muovere nemmeno un muscolo nella direzione desiderata, perché ci sarà sempre un agente esterno che ci tratterrà dal farlo.
Si tratta di un allenamento graduale e costante, paziente e consapevole che non conosce fretta ma solo desiderio di viaggiare.
Oggi guardo con fiducia al mio futuro, con consapevolezza al mio presente e con amorevolezza al mio passato e sono convinta che anche questo sia frutto di una scelta che si impara a coltivare e ad allenare perché no, anche con il coaching.
Ps. Ci vediamo a Livorno domenica?