Nei piccoli villaggi di montagna e campagna del sud Italia, vive ancora una magica tradizione femminile avvolta nel mistero.
Si tratta di una tradizione che fa capo ad alcune donne che si chiamano Janare (singolare Janara), considerate nel folklore popolare, streghe, devote alla più oscura e più malvagia delle pratiche, viste come pericolose dalla società contadina patriarcale, in quanto donne libere.
Questa reputazione oscura è principalmente frutto dell’Inquisizione cattolica ma in realtà, queste donne erano e sono ancora, soprattutto guaritrici, contadine e veggenti, in grado di entrare nel mondo dell’invisibile.
Alcuni studiosi hanno individuato nel loro nome l’espressione ereditaria di una antica casta di sacerdotesse storicamente associate alla dea Diana ( “dianara”, ossia sacerdotessa della Dea Diana ).
“La dea, identificata nella sua manifestazione lunare, è stata oggetto di culto nella “stregheria” della tradizione italiana, e adorata come dea dei poveri, degli oppressi e dei perseguitati dalla chiesa cattolica.” – Charles Leland, Il vangelo delle streghe.
Secondo altri il loro nome sta per “Janua” cioè porta, ed è proprio davanti alle porte che le streghe si sarebbero fermate a contare i granelli di sale collocati dai contadini a difesa delle abitazioni.
Resta il fatto che le Janare attraverso i loro lignaggi, hanno conservato e tramandato una conoscenza antica e naturale, la cui spiritualità sottostante affonda le radici ai tempi in cui i popoli sanniti e osci vissero quella regione del Sud Italia, prima che Roma e l’Impero sorgessero.
Le Janare sono soprattutto dominae herbarum – signore del erbe – abili nella guarigione e profonde conoscitrici della magia e delle proprietà rituali delle piante. Inoltre, la loro tradizione è sempre stata associata a un albero, il famoso Noce di Benevento, un noce leggendario che sorgeva in una città che è stata sempre avvolta in un alone di mistero.
Nell’immaginario collettivo Benevento era, ed è, il covo delle streghe, il luogo ove cresceva, maestoso e terrificante, un grande noce, quello intorno al quale si riunivano le più grandi e potenti streghe provenienti da tutta Europa.
Perché proprio un noce? A questo albero si attribuivano virtù e poteri magici, anche letali. E’ noto, infatti, che si ritenesse pericoloso sostare all’ombra sotto un noce (Historia Naturalis – Plinio). Inoltre, il noce era sacro a Diana, la dea signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti, protettrice delle donne e del parto.
Si dice che l’albero sia il luogo dove arrivarono streghe da tutta Europa per raccogliere, e dove i romani rituali praticati dedicati al Dea egizia Iside, che aveva un Tempio romano lì..
Ogni tradizione popolare che prende atto della presenza delle Janare le associa agli alberi: querce, castagni, olmi, noci, che, insieme ai boschi, costituivano i templi nei quali queste donne si riunivano ritualmente.
Il culto arboricolo è uno degli elementi centrali di questa magica tradizione, che suggerisce la radice molto antica della spiritualità espressa da queste donne.
Guaritrici del popolo
A causa della loro stretta connessione con il mondo della natura, le Janare erano considerate esperte erboriste e guaritrici qualificate.
Grazie alla loro profonda conoscenza, erano in grado di rimuovere Il malocchio usando acqua e olio d’oliva, curare le malattie e, cosa più importante, assistere altre donne nel parto, nei piccoli villaggi di campagna.
L’alleanza tra le Janare e le piante, rappresentava il fulcro di gran parte della loro conoscenza che portava il segno di una profonda comunione con il mondo degli spiriti, delle piante, del soffio e del mistero.
Le loro capacità mediche e di guarigione erano considerate una sorta di dono spirituale che consegnava loro il ruolo di “tessitrici di ponti” capaci di mettere in comunicazione il regno del visibile, con quello dell’invisibile, abitandone i misteri.
Per approfondimenti:
Charles Leland, Il vangelo delle streghe
Antonio Piedimonte – Nella terra delle janare