Rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.
(Serge Latouche)
Era il 1998. Credo fosse Aprile.
Mi ero appena laureata e tra un lancio di dadi e un “cosa farò da grande” spuntò l’Isola d’Elba.
Un luogo meraviglioso, che mi colpi già dalla prima volta che ci venni in vacanza molti anni prima, al Campeggio Arrighi di Barbarossa. All’epoca mi spostavo con autobus/autostop e lunghe passeggiate: io e la mia amica, ancora senza patente, sfruttammo tutti i mezzi possibili e immaginabili per girare l’isola.
Eppure una cartolina mi rimase nel diario, a ricordarmi che quel luogo, praticamente all’opposto di dove mi trovavo, non era riuscita a esplorarlo. Tornai a casa quindi con un solo rimpianto: non aver visitato capo S. Andrea, che mi entrò subito nel cuore. Quegli scogli lisci, il mare turchese e cristallino, la fitta vegetazione che incornicia la costa e la spiaggia quieta, in quel del Cotoncello, tutto sembrava parlarmi.
La vita, beffarda e bizzarra, avrebbe in realtà ampiamente accontentato quel desiderio, facendo in modo che quel luogo diventasse la mia casa per oltre 15 primavere e vi facessi le esperienze più significative dei miei anni: l’amore, un progetto di vita e di lavoro impegnativo e meravigliosamente appagante, una figlia, moltissimi incontri che hanno costituito nel tempo quella cerchia di affetti che ancora mi circonda e alla quale mi sento legata da un affetto profondo, che trascende il normale rapporto ospite/albergatrice.
Ma l’impermanenza, si sa, tutto permea e tutto avvolge e a noi è data la possibilità di scegliere: possiamo resisterle, ignorarla, cancellarla dal nostro vocabolario emotivo, relegarla negli angoli bui della nostra mente, oppure possiamo accoglierla, farle spazio, offrirle un tè e cercare di familiarizzare con la nostra compagna di viaggio.
Personalmente, si sa, da qualche anno ho adottato la seconda scelta e devo dire che tra qualche cazzotto e qualche schiaffo che a volte ho reputato ingenuamente esser stato di troppo, ho imparato a rispettare e ad amare l’impermanenza e ad averne un timore reverenziale. Si, un timore simile a quello che ho davanti al mare che sempre mi affascina e mi seduce ma che so perfettamente essere una potenza naturale che è bene rispettare nella sua grandiosità.
Ho così percorso strade impegnative, ho operato scelte importantissime nella mia vita, mi sono confrontata quotidianamente con la paura di non farcela e di non essere capace a ripartire. Ho studiato, ho scritto, ho ascoltato e letto molto. Spesso sono caduta e non ricordo più quante volte ho sbagliato (valutazione, modalità di espressione,atteggiamento).
Col tempo anche gli errori, come l’impermanenza, sono diventati miei compagni di viaggio. Ho smesso di ripudiarli, ho semplicemente iniziato a fare loro spazio e ho visto che si, c’è tanto posto qua dentro di me, anche per tutto quello che di me meno apprezzo e che fino a poco tempo fa attribuivo ad altri, pur di non vedere in me.
E invece no, c’è un caleidoscopio fornitissimo di contraddizioni e chiarezza d’intenti, limiti e risorse, che vive dentro di me e che ho potuto conoscere proprio grazie al mio essere andata incontro al cambiamento, imparando a lasciare andare (ma proprio tutto, eh) e allenandomi a fare affidamento sulle me risorse, imparando a riconoscerle (anche se su questo tema ho un conflitto di ambivalenza in corso che ti risparmio).
Anche per questo oggi alleno le persone ad affrontare il cambiamento (dentro di sé in primis) e ad organizzare strumenti e risorse in modo efficace per meglio proporsi. Si, perché chiaramente io ho dovuto ricominciare anche professionalmente e da zero: per cui l’esperienza l’ho attraversata, senza risparmiare un centimetro di me stessa (anima e core, si direbbe).
Ma non finisce qua.
Una volta che ho iniziato a imparare a organizzare il cambiamento, a viverlo pienamente, a affinare l’ascolto sulle potenzialità e sulle risorse, anche il mondo intorno a me è cambiato. Facci caso, te lo avranno detto molte volte: “non puoi cambiare gli altri ma se cambi te stesso, anche gli altri cambieranno”.
Bene, e sai cosa è successo? Che mia figlia Irene è diventata più consapevole di sé, dei suoi bisogni, dei suoi desideri ed è diventata anche più abile ad esprimerli.
Con questa nuova abilità in tasca, Irene è riuscita a chiedermi di continuare gli studi fuori dall’isola, perché vuole vedere cosa c’è oltre il braccio di mare che ci separa dal continente e perché ha fame di cose nuove, di confrontarsi con un mondo un pochino più grande.
A questa richiesta, se mi hai letto fin qua, non potevo rimanere insensibile e ho deciso di continuare ad abbracciarlo, il cambiamento, e ad affidarmi ad esso.
Succede quindi che mentre ti scrivo io stia organizzando la mia nuova vita in Toscana, nelle colline pistoiesi in cui sono cresciuta e ho vissuto l’altra metà della mia vita (dove per inciso continuerò a proporre i miei percorsi formativi e le esperienze di digital coaching) e lo farò in modo nuovo, con una diversa consapevolezza.
Le persone con cui ho parlato di questa scelta, mi hanno sostenuta dilungandosi sui limiti che il vivere l’Elba (che peraltro non abbandono del tutto, sia chiaro) comporta.
Io invece vorrei salutare quest’isola sottolineandone le risorse, i regali, le epifanie che qui ho potuto sperimentare e che probabilmente altrove non avrei vissuto.
Me ne vado con la convinzione che questo luogo (l’ho scritto milioni di volte) sia magico, perché l’Elba cura l’anima delle persone e non a caso accoglie spesso viaggiatori che qui scelgono per vari motivi di vivere una parte della loro vita e poi, quando si sentono pronti, riprendono il volo.
Anche a me è successo questo e sono certa che l’intensa relazione che qui si riesce a vivere con il contesto naturale sia fondamentale per il percorso di cura.
Io so perché ho avuto bisogno di vivere sull’isola e perché quel braccio di mare che per molti è limite, per me è sempre stato risorsa.
Avevo bisogno di allontanarmi, di vivere in una bolla spazio temporale il tempo che mi fosse necessario per curare le mie ferite e per trovare dentro di me le risorse necessarie a vivere quella vita da cui mi ero allontanata.
Oggi so che è arrivato il momento che io mi prenda cura delle mie radici, dopo aver speso 18 anni a prendermi cura di altri che qui venivano a ristorarsi e so che posso farlo, che ho imparato a gestirlo.
Saluto l’Elba sapendo che viaggerà con me, che non mi lascerà mai, perché io sono isola e qui l’ho potuto sperimentare e mi sono potuta prendere gli spazi necessari per comprendere, per valutare, per accettare.
Con l’isola saluto anche le tante persone che quando vengono in vacanza qui mi contattano, mi chiedono consigli, mi salutano: mi è piaciuto molto questo ruolo, mi ha fatto sentire in modo ancora più vivido il contatto che sento di avere con lo scoglio e che continuerò a vivere.
Invece gli amici, gli affetti sinceri che negli anni ho incontrato qua non ho ragione di salutarli: perché la storia continua 🙂