E’ come se fossimo tutti vittime di una amnesia collettiva, che ci ha fatto perdere la capacità di entrare in empatia con la vita non umana e di rispettarne il mistero, ci ha tolto ogni umiltà nelle relazioni con l’infinta complessità del mondo naturale.
(Ralpf Metzner)
Il termine ecopsicologia, nasce nel 1989, dal fertile incontro di un gruppo di accademici di Berkeley – Alan Kanner, Mary Gomes, Elan Shapiro e Robert Greenway, interessati a comprendere quale potesse essere il contributo che la psicologia avrebbe potuto dare alla crisi ecologica in corso, ma il primo testo ufficiale sul tema, è di Roszak che nel 1992 pubblica “The voice of the Earth”.
Pochi anni dopo Roszak e l’ecopsicologia saranno citati da Fritjof Capra nel suo (consigliatissimo) libro “La rete della vita”, decretandone di fatto il lancio mondiale.
Il movimento accoglie la conoscenza degli ecologi, l’esperienza e l’etica degli ambientalisti e la sensibilità dei terapisti in un approccio terapeutico più ampio capace di includere anche l’ambiente, le relazioni e la qualità del vivere sociale.
L’ecopsicologia considera la crescita personale la strada più efficace per promuovere lo sviluppo di una maggiore consapevolezza ambientale e sociale.
Si tratta di risvegliare quello che Roszak definì l’ “inconscio ecologico“, nel quale risiedono le radici più profonde della natura umana, capaci di ridefinire l’identità personale.
Roszak descrive l’inconscio ecologico così:
L’inconscio collettivo, al suo livello più profondo, racchiude l’intera intelligenza ecologica di tutte le specie, la fonte da cui è scaturita la cultura, come riflesso consapevole di una emergente mente della natura. La sopravvivenza della vita e di tutte le specie non sarebbe stata
possibile senza un tale sistema di saggezza autoregolantesi. Era lì per guidare questo sviluppo attraverso tentativi ed errori, selezione ed estinzione, così come era lì nell’istante del big bang per condensare i primi lampi di radiazione in materia solida. E’ questo l’Es a cui l’ego si deve collegare se vogliamo diventare una specie sana capace di grandi avventure evolutive.(Theodore Roszak, The Voice of the Earth).
Nella misura in cui una persona impara a relazionarsi in modo efficace e sempre più autentico a se stessa, superando la selva di auto inganni dietro cui vive il suo potenziale umano, aprendosi dunque alla molteplicità e alla ricchezza del suo proprio essere, ha la possibilità di sviluppare le stesse capacità relazionali anche in dimensioni più ampie.
Quando la psicologia si occupa di qualità delle relazioni, mette sempre in evidenza che esiste una stretta correlazione tra come ci comportiamo con noi stessi e come ci comportiamo con gli altri.
Quello che in noi stessi accettiamo e gratifichiamo, ci viene facile accettarlo negli altri; quello che non amiamo di noi, reprimiamo o nascondiamo, desta in noi turbamento, malessere o irritazione quando lo vediamo espresso dagli altri.
E’ il ben noto meccanismo di “proiezione”, che ci spinge a vedere riflesso negli altri ciò che in noi non siamo ancora disposti ad accettare ed è una delle prime cause della discriminazione verso i diversi.
C’è un legame molto stretto tra le malattie dell’anima e le malattie del mondo, e la nostra società soffre della stessa patologia di cui soffrono le persone.
Il bisogno di “sentirsi parte” è un bisogno connaturato e la mancanza di un legame affettivo tra gli esseri umani e la madre terra è la causa di una crisi psicologica, spirituale ed ecologica al tempo stesso.
Una crisi da cui possiamo uscire solo accettando la nostra quota di responsabilità personale che ci invita ad autorealizzarci, ad uscire dagli angusti schemi predefiniti dalla confort zone unidimensionale, che ci relegano ad essere “macchine che consumano” a 360 gradi, trovando il coraggio di ripartorici, secondo principi, valori e scelte che indirizzano la nostra via verso dimensioni più etiche e sostenibili.
La crescita personale diventa quindi un cammino, per tappe, che comincia dal “livello della persona”, che generalmente coincide con una serie di identificazioni che le sono funzionali per vivere, esibendo, di sé, solo gli aspetti gradevoli e “presentabili”.
A questo livello c’è una limitata consapevolezza sulla qualità della propria vita, resa confusa e complicata dalle innumerevoli proiezioni che entrano inevitabilmente in gioco.
Il cammino a tappe della nostra crescita, ci porta a incontrare il piacere di essere noi stessi, con tutte le sfumature e le inevitabili incongruenze che questo comporta, per sperimentare un piacere e una fluidità tutta nuova nelle relazioni.
Si tratta di un percorso di espansione della consapevolezza personale, nel quale trova un suo posto anche la meditazione la green mindfulness, esperienze di comunione con l’altro e con l’ambiente e in genere tutte le esperienze nelle quali avvertiamo un venire meno dei confini convenzionali ed entriamo in uno stato di relazione (e di grazia) con tutto ciò che ci circonda.
Si tratta di pratiche millenarie, in grado di ristabilire un dialogo ed un ascolto interiore interrotti con la nascita e il prosperare dell’homo economicus, consumatore e predatore, preso dal suo delirio di onnipotenza e sempre più lontano dal contesto naturale e di recuperare un senso di interessere e di interrelazione con il Mondo, sentendosene nuovamente parte.
L’ecopsicologia promuove questo ritorno alla natura, inteso sia come incontro con la natura esteriore ma anche quella altrettanto misteriosa e poco conosciuta che ci abita nel petto, andando a creare occasioni di incontro e reciproca conoscenza capaci di ripristinare l’originario senso di interdipendenza da cui tutto origina.
Bibliografia:
Is there an ecological unconscious? (B. Smith nytimes.com)
Nature -Based Therapy (K. Harper, K.Rose, D.Segal)
Ecopsicologia (M. Danon)
Il grande libro della silvoterapia (L- Monce)