Chi l’ha detto che i luoghi non hanno un’Anima?
“In un’epoca nella quale domina l’artificio e la superficialità, basata sull’inganno patinato in modo che l’occhio non possa scorgere la profondità, il cammino filosofico dell’oltrepassamento postmoderno consiste nello smascherare l’inganno della banalizzazione utilitaristica: per spingerci dentro le cose, per discernere la manifestazione dell’essere nella narcotica nauseante ridondanza dell’edonismo consumista. E conoscere quello che il daimon del luogo ci dice: a cominciare dalle sue ferite che non possono, non devono, essere cancellate dal tempo. L’architettura può aiutarci nell’aderire all’identità profonda tra cultura e natura: ascoltando l’anima del luogo, facendo in se stessa un vuoto ricettivo, non sovrapponendo la sua razionalità strumentale, le sue intenzioni soggettive, all’autenticità del luogo, all’oggettività cosmogonica. Che parla da sé. La natura indica perentoriamente, il senso del limite, la sobrietà, la forma”.
Hillman
Ogni luogo ne ha una ben definita. Ce ne sono centinaia di migliaia, basta tendere l’orecchio, affinare la vista e con essa la capacita di “vedere oltre”. E’ meraviglioso.
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Ogni spazio o luogo che abitiamo, non si limita ad essere il mero contenitore delle nostre esperienza ma è esso stesso parte integrante di un racconto, di un vissuto, essendo il “portatore sano” di una topografia dinamica interiore, fatta di sentimenti e memorie, figure e forze, fantasie e pensieri, come scrive Hillman. Credo che questa consapevolezza dovrebbe essere il nostro mantra quotidiano, la conditio sine qua non del nostro agire, nel rispetto di quanto abbiamo ricevuto in prestito: ricordate il discorso capo indianoSeattle al Presidente degli Usa F. Pierce?
“Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all’uomo ma l’uomo appartiene alla terra. Questo noi sappiamo. Tutte le cose sono collegate come il sangue che unisce una famiglia. Tutte le cose sono collegate. Qualunque cosa succeda alla terra succede ai figli della terra. L’uomo non ha tessuto la trama della vita: egli è un filo. Qualunque cosa egli faccia alla trama egli lo fa a se stesso. Anche l’uomo bianco, il cui Dio cammina e parla con lui da amico, non può essere esonerato dal destino comune. Potremmo essere fratelli, dopo tutto”.
Nell’amministrare un territorio, io sono convinta che la prima cosa da fare sia proprio il mettersi in ascolto, l’affinare quello sguardo di cui scrivevo prima, nella costante ricerca delle storie che lo spazio che abitiamo ha da raccontarci. Ascoltare le narrazioni insite in un luogo, significa conoscerlo, comprenderne le potenzialita e le specificità che sta esprimendo e quindi, va da sé, rendere semplice ed efficace l’incontro tra la domanda (le persone potenzialmente interessate a un luogo e alle sue narrazioni) e l’offerta (il luogo stesso, il contenitore attivo di storie da raccontare). Troppo spesso invece assistiamo a un appiattimento sterile dell’offerta, asservita alle logiche globalizzate e globalizzanti che fanno di ogni luogo un luogo qualunque, un’incrocio privo di senso, nel deserto di esistenze alle quali siamo stati bravi a tagliare le radici, privandole del loro sapore specifico, per farne dei meri “galleggiamenti assenti”.
A conferma di ciò, ho letto tempo fa di un luogo piccolo, battuto dal vento di tramontana che sembra più vicino alla Corsica che al “continente” anche da un punto di vista culturale, tanto è isolato e fieramente “altrove”, tra scogliere di granito lisce e sinuose che spalancano scenari lunari inattesi e piccole appartate baie selvagge: Capo Sant’Andrea. La piccola spiaggia del Cotoncello rappresenta uno dei luoghi più affascinanti dell’isola d’Elba Questo è il luogo ideale per chi, come me, preferisce la tranquillità delle piccole baie nascoste, al clamore sguaiato delle lunghe lingue di sabbia attrezzate, perchè regala la magnificenza del fascino selvaggio di quest’isola: basta sedersi ad ascoltare.
Qui il mare è sovrano. Sciaborda, sciacquetta, s’insinua in ogni anfratto di roccia, ti segue mentre percorri traballante un percorso lungo la meravigliosa scogliera di granito che è a tratti impervio, quando il mare “monta” e per questo ancora più suggestivo e intenso. Qui, se steso sulle coti (i sassi) socchiudi gli occhi, le vedi ancora le navi dei pirati che solcavano i mari e ti sembra di sentirle le voci dei genovesi che venivano fin qui a imbarcare il mosto locale per “tagliare” i loro vini.
Ci sono giorni in cui qui l’aria ha l’odore acre del sudore dei somari e dei cristiani che hanno conosciuto fatica e pasti frugali e la senti ancora viva, nei solchi del viso e negli sguardi degli anziani del posto, tutta la storia che ha consumato queste coti.
Sant’Andrea richiede silenzio e amore per queste storie, per chi le ha scritte con il proprio sudore, per chi ascolta la lingua del mare e per chi, quelle storie, prova ancora a raccontarle pur non avendole vissute sulla propria pelle e lo fa con impegno e con ingegno, ripercorrendo i sentieri della memoria con chi abbia voglia e tempo di fermarsi ad ascoltare. Per tutte queste ragioni, non posso pensare che anche quest’anno la piccola spiaggia del Cotoncello (lunga a malapena 50 metri) ospiterà una concessione di ombrelloni e pedalò, perchè non posso credere che a nessuno interessi la storia che ha da raccontare un piccolo posto in cui, a maggio, il profumo di aglio triquetro esplode insieme ai fiori di serpaia (e chi se ne frega se per goderne mi stendo sulle coti, non lo capite, anzi, che proprio questo è il suo fascino?)
Davvero siamo così ciechi? Dovrei credere seriamente che pur vivendo e godendo di un paradiso simile, non riusciamo a sentirlo e a sentirci, noi con lui, patrimonio dell’umanità? Oggi sono triste. Mi stendo sulle coti a respirare questo mio mare che è anche il tuo, il suo…. insomma è il Nostro mare, di tutti e di nessuno, teniamolo a mente quando lo sviliamo, lo maltrattiamo, lo violentiamo, perché anche il Mare, come i luoghi, ha un’Anima.